“E fu così che il lupo cattivo mangiò anche il cacciatore”: il finale a sorpresa crudele della rubrica di game design è tutto per Yoko Taro
Se è vero che l’arrivo di Eiji Aonuma nella serie The Legend of Zelda ha contrastato il mondo opprimente immaginato da Yoshiaki Koizumi, è anche vero che la nostra rubrica di game design può concludersi con un colpo di frusta analogo: nello specifico, parlando di Yoko Taro. Rispetto ad artisti come Shigeru Miyamoto, Hironobu Sakaguchi, Masahiro Sakurai o persino Hideki Kamiya, qui siamo più sulla stessa lunghezza d’onda di Hideo Kojima, Hidetaka Miyazaki e Goichi Suda: si parla dunque di narrazione più improntata sul cinismo. Avere Berserk come musa è un conto, come si vede con le opere di Miyazaki; un altro è tuffarsi di testa nel reame da psicanalisi di opere cupe al livello di Neon Genesis Evangelion (decostruzione del genere mecha) e Puella Magi Madoka Magica (che fa lo stesso col filone magical girl). Un modo come un altro per ricordarci che agosto è finito, insomma.
Bandiere a mezz’asta | A scuola di game design con Yoko Taro
Nato il 6 giugno 1970 a Nagoya nel Chūbu, Taro Yoko (come imporrebbe la lettura occidentale, che abbiamo adottato nelle precedenti nove puntate sul game design) è stato cresciuto dalla nonna (con un ricordo molto nitido di lei) a causa delle lunghe assenze dei genitori per motivi di lavoro. Da giovane è venuto a sapere di un incidente che avrebbe segnato il suo stile narrativo: un conoscente ha visto uno dei propri amici morire per una rovinosa caduta. La scena, per come fu narrata in quel frangente, era “orribile”, ma con un risvolto comico inaspettato (ovvero una tumescenza in una parte del corpo intuibile ma innominabile). Yoko ha studiato presso l’università di design di Kobe, nel Kansai, per poi laurearsi il marzo 1994. Durante la futura e imprevista carriera nell’industria videoludica, avrebbe sposato una collega: Yukiko Yoko, illustratrice per Taiko no Tatsujin e Drakengard 3. Non sappiamo se il cognome è acquisito o meno, ma stando ai dati reperiti si tratta del secondo caso.
I due Drakengard | A scuola di game design con Yoko Taro
E inaspettata, la carriera videoludica, lo è stata davvero. Nonostante le intenzioni di Yoko Taro in tal senso, a un mese dalla laurea ha trovato posto come designer CGI per conto di Namco. Nel 1999 si è poi unito a una costola di Sony Computer Entertainment, Sugar & Rockets Inc., per poi passare a Cavia (Computer Amusement Visualizer). Il coinvolgimento per il gioco di ruolo Drakengard di Square-Enix per PS2 è partito da questo contesto. Alla regia c’era Takuya Iwasaki, finché altri impegni non hanno costretto Yoko a prenderne il posto e a fare da aiutante per la sceneggiatura. I cambiamenti gli sono andati stretti, ma nonostante le sue richieste si è ritrovato comunque nella produzione di Drakengard 2. La sua idea era quella di creare un titolo arcade con dragoni in un’ambientazione fantascientifica nello spazio, motivo per cui si è ritrovato ai ferri corti con il direttore Akira Yasui. La svolta è arrivata con il terzo gioco, che non sarebbe stato Drakengard 3. Questo, però, non lo sapeva nessuno.
Andarci vicino | A scuola di game design con Yoko Taro
Il concetto iniziale di Drakengard 3 è cambiato a tal punto che, pur mantenendo la stessa backstory, è stato ribattezzato NieR, a tutti gli effetti uno spinoff della serie. Nonostante ciò, Yoko Taro continua a considerarlo il terzo capitolo effettivo. In seguito all’uscita del gioco, con l’assorbimento di Cavia da parte di AQ Interactive Yoko ha abbandonato la compagnia sperando in una carriera freelance. In questo periodo ha aiutato Square-Enix con Monster × Dragon, per poi proseguire con titoli mobile similari. Tornando alla serie principale, dopo l’uscita di Drakengard 3 (sviluppato con il feedback dei giocatori, le cui risposte al questionario lasciavano intendere che le storie cupe fossero la fonte primaria di appeal) si è “ritrovato tra i disoccupati”. Da qui, una rubrica temporanea per Famitsu: “Il circolo malpensante di Taro Yoko”. Nel 2015 lui, la moglie Yukiko e la sceneggiatrice Hana Kikuchi hanno fondato l’azienda privata Bukkoro. Il seguito NieR:Automata è stato sviluppato da Square-Enix, ma coinvolgendo PlatinumGames a causa dell’esitazione di Yuki Yokoyama per le vendite basse del primo capitolo.
Memento hikikomori | A scuola di game design con Yoko Taro
Yoko non ha mai fatto mistero della sua avversione per il sensazionalismo applicato al dietro le quinte dei videogiochi. Il motivo, stando a quanto detto da lui su Famitsu, è che a suo dire gli sviluppatori non sono gente di spettacolo, e che parlare di certi tecnicismi può venire a noia. Quando viene intervistato, preferisce evitare le foto con la sua ormai iconica maschera (o un pupazzo da teatrino, nel caso di Drakengard 3). Preferisce inoltre la brutale onestà quando dice la sua, in quanto ciò che i giocatori meritano. I suoi giochi condividono un’atmosfera cupa e inquietante, e il suo stile di sceneggiatura prevede che si parta dal finale per poi fare dietrofront, dando priorità ai punti chiave della trama. Ama sperimentare con il medium videoludico, in quanto crede che le convenzioni del mercato inibiscano la libertà creativa degli sviluppatori. Molti giochi toccano la sua concezione della morte con il metodo socratico (ovvero, ipersemplificando il concetto, traendo risposte inattese dal feedback reciproco).
“Torna qui, carne da macello piena di punti esperienza!” | A scuola di game design con Yoko Taro
A cosa deve il protagonista di Drakengard la sua pazzia? L’ironia di immaginare PlatinumGames durante lo sviluppo di NieR:Automata viene da qui. Yoko Taro si è accorto di quanto folli fossero le valutazioni della performance del giocatore in base ai nemici eliminati (un marchio di fabbrica di Hideki Kamiya) e, pertanto, ha dato a Drakengard un protagonista mentalmente instabile. In modo analogo a Goichi Suda, poi, Yoko ha esplorato l’idea di un evento atroce causato da due fazioni convinte di fare del bene in Drakengard 3 e NieR, ispirandosi alla guerra al terrorismo post-11 settembre per quest’ultimo. L’anticonformismo di Yoko Taro si vede anche nella repulsione che prova nei confronti dei personaggi femminili dimenticabili inseriti malamente nei videogiochi. Lo si è visto con Furiae in Drakengard e Zero in Drakengard 3, in quest’ultimo caso optando per l’archetipo della ex prostituta, quasi assente in questo medium.
Impegno per lo sdegno
Quando abbiamo iniziato questo viaggio, esattamente trenta giorni fa, abbiamo scoperto le basi stesse del game design con Shigeru Miyamoto, e oggi con Yoko Taro scopriamo un altro punto di vista. Chi lo conosce da vicino ne riconosce il cinismo e i modi gentili, definendolo prima di ogni altra cosa un iconoclasta. Guardando l’industria attraverso i dieci nomi di cui abbiamo parlato in questo mese, abbiamo visto più modi in cui intendere il videogioco, seguendo o, a seconda dei casi, ribaltando convenzioni dapprima inesistenti. A rischio di ripetere il commiato visto a fine articolo con Goichi Suda: pionieri prima e rivoluzionari poi. Lo scambio di idee, in modo analogo alla Scuola di Atene dipinta da Raffaello Sanzio, è continuo e rende questa forma d’arte quanto mai dinamica. Il “nostro” è un percorso evolutivo che intendiamo seguire molto, molto da vicino.
Ora sta a voi dirci la vostra: vi andrebbe un secondo “mese del game design”, magari il prossimo agosto? E con quali nomi? Vorreste più autori occidentali l’anno prossimo? Fatecelo sapere qui sotto, e come sempre non dimenticate di restare su tuttotek.it per tutte le notizie più importanti per i gamer e non solo. Per i vostri bisogni puramente videoludici, potete invece trovare i migliori sconti in formato digitale su Kinguin.
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